giovedì 30 ottobre 2008

Di nuovo sulla strada

Parla Midhir del Clan Volund

L'acqua nel bicchiere riflette uno spicchio della mia immagine, il volto tirato come una bestemmia muta con una ruga di stanchezza disegnata sopra agli occhi. Non avrei pensato di dirlo ma questo incontro mi ha lasciato nelle ossa una sensazione di spossatezza. Gli Orsogufi delle boscaglie ci hanno assalito, provabilmente cercavano carne o più semplicemente rivendicavano la loro territorialità...che dire: gli è andata male!

Ci siamo mossi come un solo corpo, è stato come rivivere le vecchie sensazioni provate da ragazzo nella fanteria. In realtà non è andata poi cos'ì male, ciò che mi ha spossato è stato il dopo incontro, ho dovuto dare fondo alla maggior parte delle mie Preghiere per risanare i miei compagni.
Io sono emerso illeso dalla mischia, una cosa piuttosto rara per me che ocndivisdo la prima linea con Antar e Li. In fondo non sono di certo un mago! La novità mi lascia stupefatto e penso che sia in parte merito della mia nuova armatura: Padre! Renditi conto un'armatura completa come una Barba Bianca del clan!

Abbiamo mangiato un boccone giusto per riprendere fiato ed ora mi sento meglio: la stanchezza dovuta all'ingente utilizzo di incantesimi si è dissolta.
Siamo pronti a ripartire.

Il nobile che stiamo scortando è nervoso, non posso certo biasimarlo:molto dipende da lui e da noi...

Un piede dietro l'altro...continuo ad avanzare...

lunedì 20 ottobre 2008

Tre mesi

Parla Midhir

Sono trascorsi gia tre mesi da quando il destino ti ha ricongiunto ai nostri padri e non c'è giorno che mi pesi meno la tua mancanza fratello.
L'aria fredda mi entra nei polmoni e si mischia al fumo della pipa mentre ascolto le chiacchiere nella taverna di Ahrman. Domani partirò di nuovo all'avventura, anche se riuscissi a tornare la rivolta mi impone di non rimettere più piede in città, e si sa mai che quando potrò entrare di nuovo a Melennor questa taverna non sarà gia stata travolta dal fuoco della rivoluzione.
In questi giorni ho pensato di comporre una danza per te perchè tu possa capire la dualità del sentimento che provo: mi intristico nel non saperti più al mio fianco ma giosco nel saperti nelle sale del Valhalla.
So che la mia opera non è un poema elfico o che non rivaleggia coi versi di Lieve, ma a me importa solo che arrivi al tuo cuore.


Mir
Nel bosco fatato degli elfi
i tronchi colonne argentate,
dorata la volta,
dorato il tappeto
di aghi e di fiori vedrai
Nel bosco fatato degli elfi,
Mir è un fiume argentato
è acqua che canta è acqua che danza
cascate di luce vedrai
Insieme saremo migliaia di gocce
ruscelli di note cantate nel vento
Insieme saremo esplosione di luce
insieme saremo arcobaleno
Nel bosco fatato degli elfi,
Mir è sire gentilefabbro che canta,
nano che danza.
nel bosco di degli elfi vedrai.
Al largo l'amato re aspetta
il tempo di andare è arrivato
ma il vento crudele già s'alza e via soffia
per sempre la felicità
Insieme saremo migliaia
di gocceruscelli di note cantate nel vento
Insieme saremo esplosione di luce
insieme saremo arcobaleno
Se passi dal bosco degli elfi
ancora le senti cantare.
Per sempre si abbracciala voce con l'acqua
per sempre sentirle potrai.
Nel bosco fatato degli elfi,
il triste gemello cantava
stella che brilla, ago di pino
perduto dal vento del nord
Insieme saremo migliaia di gocce
ruscelli di note cantate nel vento
Insieme saremo esplosione di luce
insieme saremo arcobaleno

martedì 7 ottobre 2008

Il maglio continua a battere

Vecchia Melennor:
Che si tratti delle vestigia di un impero scomparso non vi è dubbio, ciò che però richiede più attenzione è saper districare la matassa di Fili del "Grande Arazzo" che s’intrecciano qui: la magnifica cicatrice che la terra conserva dello scontro degli "Antichi del Drago" che qui si diedero battaglia; le note di canto che ora non s'odon più, perse nell'eco delle sale dei templi; l'acciottolare dei bambini che si rincorrevano tra le vie...
Padre... Il cuore mi si stringe come se fossi davanti ai resti di una pira funebre di un caro, che all'arrivo del mattino lascia solo segni neri tutto attorno...

I sotterranei di Vecchia Melennor e cripte sottostanti:
Una marcia. Un passo dopo l'altro. Nella terra fra i morti ridestati abbiam marciato, ci siamo anche quasi illusi di aver lasciato un segno in quelle cripte dimenticate dagli dei della luce. Certo qualcosa vi abbiam portato ma che siano graffi ed echi o segni più tangibili sarà solo il tempo a deciderlo. Il prezzo come sempre in questi casi, è stato il sangue e che sia il sangue di un diavolo o di una brava persona, il sangue versato è sempre una "chiave di volta" per gli equilibri mistici del mondo e del "Grande Arazzo".
Mi chiedo se quello versato (nostro e non) non abbia gia mutato una parte del "Grande Disegno"...

Luce:
Tornammo alla luce morente di quella che un tempo è stata un faro della civiltà degli Umani, e per la prima volta in questi anni mi sono chiesto se l'inferno non fosse in parte anche sulla terra. Eccolo intento ad allungare le mani anche su di noi che cos'ì facilmente siamo sedotti dal vile denaro. Certo non tutti noi. Io parlerò solo per me ora, e qui dichiaro che cercherò di estirpare l'avidità dalle mie vene…anche se la vedo dura...
Padre guarda nella tua fucina e aiuta la mia "Forgia" ad ardere in quest’intento...


Un agguato:
A volte ci siamo comportati come prede oggi fummo i cacciatori!
Il carico con "l'oggetto da recuperare" era un carro con relativi occupanti. La trappola tessuta con cura è scattata come una morsa stritolando ogni cosa. Perfino il comandante che si ergeva sul suo cavallo fiero e impavido è perito: Padre t’imploro di giudicarlo con riserbo anche se si trovasse in mancanza ai tuoi occhi perché si è battuto con coraggio.
Diventammo Maglio e Incudine. Poco altro è degno di nota tranne che ho apprezzato la tecnica che ci ha unito tessendo di tanti "Sussurri" un unico possente Canto.
Oggi abbiamo vinto ma per cambiare le cose dovremo vincere molte altre volte...

Cos'ì parlo io: Midir figlio del Clan Volund.

sabato 10 maggio 2008

Ruderi, Speranze e Aspettative

Parla Limahar

La notte è appena finita e noi, formiche sulla schiena di una città così grande da costituire uno spettacolo imponente agli occhi di chiunque, guardiamo con rinnovato stupore la furia dei draghi. Chi come me, Teleute o chi altro abbia passato molto tempo sui libri, per scelta o per costrizione, non può fare a meno di pensare a come fosse realmente questa città. Gente che affollava la piazza del castello, gente che pregava con fervore dentro i templi, e la paura e la disperazione che quella stessa gente ha provato nell'ira contenuta nei potenti polmoni infuocati dei draghi.
La città se pur mutilata è rimasta. Le cicatrici pure...
Chiunque porti segni sopra di sè che indichino eventi e momenti della propria vita di certo può capire a pieno il senso che trasmette una città devastata. O meglio, una città dilaniata. Gli uomini di qui hanno fatto bene a non ricostruire nulla, a non cancellare con mura e mattoni quello che realmente è successo.
Questo posto è una lapide! Ma non di quelle che si mettono nei campi dei morti. No, questa lapide è un promemoria, e un monito, e al tempo stesso una speranza.
La speranza di poter migliorare, di non commettere gli stessi errori.
La mia speranza.
Perché so bene che molti uomini, elfi, nani, gnomi o di qualunque altra razza sia lo sguardo che si posa si queste pietre, ciò non lo possono capire.

La città nel suo sfacelo è bella, e in molti punti lo stesso fuoco che l'ha distrutta la resa un oper ad'arte bellissima.
Di notte questo si notava poco mentre percorrevamo le vie più esterne.
Solo pochi imprevisti ci hanno colto lungo il cammino, ma nessuno così tosto da impedirci di procedere.
Prima Aleza che rischia di rompersi una gamba mentre cercavamo di scavalcare un palazzo crollato sulla strada. Poi un branco di cani rognosi, ridotti a poco più di miseri scacalli, ci attaccato considerandoci pasto facile.
Quando Komier poi trova un segno ad un ingresso sui cancelli esterni del castello non posso negare di aver provato dell'aspettativa, ma pure quello s'è rivelato niente più che un ritardo.
Quando arriviamo alla nostra prima meta, ormai gran parte della notte è passata. I Templi sono imponenti. L'aspettativa ancora una volta mi attraversa tutto il corpo come una scarica d'energia rinvigorente.
Vederli così mi fa sentire piccolo e insignificante. Quelle stesse pietre che ora ci nascondono e ci circondano hanno mantenuto gran parte della loro maestosità, e i segni del fuoco sono evidenti. Il Fuoco ha segnato questo posto, ma ai miei occhi non sembra che sia come il resto della città.
Poi entriamo nel Tempio di Pelor. La nostra lanterna non illumina molto della vasta navata, ma quanto basta per notare che gli scacalli, quelli veri, con due gambe e due braccia, talmente egoisti da pensare solo al loro tornaconto, sono stati quì.
Rimando la mente alle dolci parole del mio mestro per ricordarmi che l'avidità delle creature terrene è colpa finchè non c'e di mezzo la sopravvivenza, e spero in cuor mio di non incontrare mai gli autori di questo sacrilegio, conscio di non essere ancora degno di paragonarmi al mio mentore.

Il nostro cammino ci porta su per scale di pietra e vicino alle celle dei sacerdoti. Niente è sfuggito alla distruzione e all'eventuale saccheggio che dev'essere seguito.
Quando troviamo la porta della biblioteca sono agitato, sento le mani che mi tremano, e il pensiero che potremmo essere vicino a qualcosa di importante mi fà quasi dimenticare il mio autocontrollo. Si sà che storicamente i chierici di Pelor hanno spesso avuto il compito di custudire il sapere...le informazioni che posseggo sono poche, e ogni granello di polvere che fa pendere la bilancia verso il successo è sempre utile.
Quando la porta si apre e vedo le librerie vuote, tutto lo slancio che mi aveva gonfiato il cuore di speranza mi ricade addoso come un maglio.
Nulla è sopravvisuto all'incendio.
Poco più avanti lungo il corridoio un unica porta ci sbarra il passo, ma per nostra sfortuna è bloccata e protetta magicamente. Komier prova ancora una volta ad aprirla, ma le sue capacità non sono all'altezza del compito e solo per l'abilità di Elanor nel maneggaire le corde riusciamo a sottrarlo all'incantesimo che l'aveva colpito.
La stanchezza ormai ci sommerge con il suo scuro manto e noi, accampandoci in una delle stanze vuote, c'addormentiamo, rimandando a domani le nostre ricerche.

domenica 4 maggio 2008

Eco

Il cielo si rompe e lascia intravvedere le stelle. Se questo può fare la gioia di chi cammina nella notte, lascia indifferente il mio sguardo, che non solo le nubi, ma le stelle stesse avrebbe attraversato senza che la fatica mi provocasse un singolo battito di ciglia.

Mura secolari sono state valicate da uomini come formiche, ma il dedalo in cui si stanno avventurando non ha nulla di domestico. Melennor.... Dov'è Melennor, ma soprattutto qual è? Ci sono altri casi di città omonime, ma questo è emblematico: si tratta di una rinascita o di una sostituzione. Che strano concetto l'identità. Nuova Melennor, vecchia Melennor. Solo un manipolo di discendenti e un'ormai sparuto numero di stemmi nobiliari assicurano un minimo di continuità tra due storie che, da quando Lord Kipper ha cacciato, quando non ucciso, i Lestatt e i loro fedeli, paiono avere ben poco in comune.

La vedo come se fosse ancora qui, la vedo mentre nasce, questa città immensa, fiera roccaforte tra i monti. Costruita per ripetere una gloria considerata intramontabile, per essere luogo di tutela e di scambio, per onorare gli dei e gli eroi, per garanzia di fratellanza di fronte alle razze. Cosa resta delle guglie dei palazzi, dell'Anfiteatro del Giglio, della Scuola degli Arcani Maggiori? Si diceva che Boccob stesso avesse presenziato alla sua fondazione, confidando a Dridisin della Pioggia Battente che torme intere di maghi avrebbero varcato le sue soglie esagonali per apprenderne il sapere. E' successo davvero ed io potrei confermarlo. Ma a chi potrebbe importare ora? Nessun dio camminerà più tra i giardini di Tardautunno, e la splendida Ambasciata Elfica oggi sarebbe la degna dimora di uno dei signori dell'Abisso.

Una storia di battaglie vinte, di sudore comune, di grandezza non senza prezzo, è prigioniera delle fuliggini eterne che i marmi conservano fuse nel loro attuale aspetto grottesco.

Chissà se quegli otto individui che ora ne osservano il cupo spettacolo sono coscienti dell'eco vagante tra le strade deserte? Chissà se si rendono conto che se dovessi cercare un residuo dell'antico splendore di Melennor, forse è nei loro cuori che finirei per trovarlo?

Continuo ad osservare.

Vecchia Melennor

Parla Lieve:

Di questi tempi non c’è quasi nessuno in giro per Melennor durante la giornata. La Città Nuova è piena da scoppiare dal tramonto all’alba, ma di giorno sono tutti ai piedi delle colline, attorno o poco all’interno di Vecchia Melennor, per assistere alle celebrazioni in onore dei morti. Ieri ci sono stata anche io, con Li, Komier ed Antar, in mezzo ai pellegrini a penzolare dalla coda dei chierici di Pelor e di Wee Jas. Oggi, invece, ho fatto solo un giro in mattinata per poi tornarmene qui, a guardare lo spettacolo dall’alto delle mura. Nel silenzio del mezzogiorno di una città vuota, sentivo i cori e le litanie portate su dall’aria fredda dell’autunno, ma la folla accalcata sotto la Porta Sud quasi non si vedeva: la Città Vecchia è grande, grandissima, quasi come l’antica capitale del regno di Lestattia ad immagine e somiglianza della quale fu costruita e quando il sole è alto e la giornata è tersa splende, come se ancora le cupole dei templi fossero coperte d’oro e di ceramiche smaltate, come se torri e guglie continuassero a tendersi verso il cielo, ricamate nella pietra come merletti ed istoriate di pietre dure, bella come solo la Città Sorella della capitale poteva essere. Purtroppo però, basta che s’allunghino appena le ombre o sulla valle galleggi un velo di foschia che la fonte di tanto splendore si rivela in tutta la sua tristezza: sull’antica, dorata Melennor hanno combattuto i draghi, due draghi antichi, per la precisione. A quel che resta delle altissime, possenti mura non rimane altro da proteggere che un groviglio di rovine lacerate e nere per il fumo degli incendi, di pietre che il calore folle del fuoco dei draghi ha fuso e trasformato in una poltiglia simile a vetro, che a mezzogiorno riflette la luce come gemme ed al tramonto s’infiamma come l’eco dei fuochi che quattro secoli or sono devastarono la città.
E’ stato il più grande sterminio di massa della storia recente, dovuto a qualcosa di diverso da una guerra. Forse gli elfi ed i dotti ricordano qualcosa di più antico, ma per molti uomini è stato il massacro peggiore e basta, nonché l’origine dell’odio indiscriminato per i draghi che ancora oggi unisce buona parte delle genti dell’antico regno.
Entrare a Vecchia Melennor è consentito solo durante i riti, ma se pure fosse diversamente noi della città sulle colline non vorremmo mai metterci piede, non senza un centinaio di chierici almeno ad aprire la strada: circolano brutte storie, storie di nebbie che ti portano via tutta la voglia di vivere nella luce di questo mondo, della rabbia dei morti verso tutto e tutti, verso i draghi, gli dei e noi che respiriamo ancora. Certo, sono le classiche brutte storie ed io che so qualcosa di come nascono non ci dovrei dare troppo peso, ma due giorni fa, mentre noi ci lasciavamo alle spalle la strada che scende dal Passo del Verme, durante le celebrazioni un non morto è effettivamente comparso nella Città Vecchia. Dai racconti deduco che era una cosa cianotica e triste, che Teleute ha facilmente identificato con un ghast: i chierici di Pelor lo hanno fatto letteralmente scoppiare. C’è stata gente che l’ha considerata una parte dello spettacolo, una manifestazione della gloria di Pelor, per quanto non riesca a vedere che gloria ci sia in un plotone di preti che fanno fuori una sola, misera creatura, ma il giorno dopo i cadaveri ambulanti erano due ed oggi sono stati quattro e qualunque persona di buon senso, anche se non conta troppo bene, vedrebbe che questa è una progressione preoccupante. Il contatto della Resistenza nei ranghi della chiesa di Pelor, tale confratello Lein che mi sembra davvero di aver già visto da qualche parte, dice che il suo capo sospetta sia stato trafugato qualcosa dai sotterranei della città, forse un’antica e preziosa spada vampirica chiamata Sakki, la cui lama ritrova filo e potere a dispetto dei secoli bevendo sangue versato per vendetta. Il furto di questo gradevole oggetto potrebbe aver infastidito
qualcosa ed avere innescato questa improvvisa e crescente proliferazione di non morti, perciò, temendo che il nostro amato despota lord Kipper possa non essere estraneo ai fatti, Skid ha deciso di mandare qualcuno a fare delle ricerche. Chi sa chi...
Cerco di pensare al filo della spada di Antar, ai pugni di Lì, a Elanor, con i suoi dardi di luce che non mancano il bersaglio ed al rumore familiare dello scatto della mia balestra, penso a Komier, così a suo agio nelle ombre ed al fatto che abbiamo due chierici con noi, ma poi mi viene in mente che ne avrei voluti cento e non sono contenta. Non sono per niente contenta.
Entreremo sta notte, per non farci vedere ad arrampicarci sulle mura ed io sarò la prima a tentare la scalata, per aiutare gli altri a salire con le imbragature di corda preparate da Elanor. Già sento il vento gemere attraverso le finestre cieche e so che ogni ombra mi sembrerà viva ed ogni stella riflessa dalla pietra vetrosa sarà come l’occhio invidioso di un morto.
Non mi va, proprio non mi va di entrare a Vecchia Melennor.

(...)

Divelta, spezzata dai draghi infuriati
graffiata dal corno di artigli affilati
muore o riposa, sotto le colline
la Città Sorella, ridotta in rovine.

Chi osa violare quel luogo stregato?
Qualcuno che sia folle, o disperato!
Chi sfida il capriccio della dea Fortuna
nella perduta Melennor, sotto la luna?

domenica 20 aprile 2008

La Mappa nella Mela

Parla Teleute:

...Sono rientrata in città da qualche ora, giusto il tempo di concedermi un bagno prima di tornare da voi, pagine, per darvi notizia degli avvenimenti degli ultimi giorni.
Elanor era da pochi giorni mia ospite quando ricevemmo la chiamata da parte di Arman: Skid voleva vederci. Dal canto nostro eravamo impazienti di sapere cosa fosse andato storto alla gola dei passeri, perché, ma soprattutto cosa fosse quella mela di pietra intarsiata che avevamo recuperato. Quella notte scoprimmo che la mela era una mappa con tanto di X in prossimità di Tarsite. Ed è li che Skid ci ha detto di andare, per cercare di capire cosa ci fosse di così importante in quel luogo.
Sfruttando l’afflusso di pellegrini in occasione delle feste dei morti siamo usciti dalla città e ci siamo diretti verso il Passo del Verme. Fortunatamente la neve non era ancora arrivata, percui la traversata non ha creato particolari difficoltà, a meno dell’incontro con alcuni disertori dell’esercito di Melennor ormai dediti al banditismo, con un tasso crudele e un Verme del Gelo.
Superato il passo ci è voluta solo mezza giornata per raggiungere la foresta in corrispondenza del punto segnato sulla mappa. A quel punto le indicazioni erano troppo scarse per poter capire cosa cercare e dove cercarlo, perciò Lieve e Antar si sono offerti di andare a Tarsite per raccogliere qualche informazione, visto che nemmeno io avevo mai sentito parlare di quei luoghi. Lieve ha raccolto leggende e voci più o meno verosimili; abbiamo dato credito al racconto di un vecchio che sosteneva che nel passato la zona era abitata da elfi e che nella foresta essi avevano costruito una prigione, il cui accesso poteva essere scoperto solo se osservato all’alba da un luogo molto in alto.
Il vecchio sosteneva di aver già provato a osservare da tutte le colline che circondano la foresta, ma noi siamo potuti andare più in alto: grazie all’aquila di Aleza siamo riusciti ad identificare un albero su cui all’alba si posavano innumerevoli uccelli.
Arrivati a quel punto della foresta, Lieve si è arrampicata sull’albero ed ha notato come il tronco fosse cavo e interamente riempito di un cristallo verde che brillava nella luce radente dell’aurora attirando gli uccelli.
Dopo una breve ricerca abbiamo scoperto tre pietre levigate su cui erano incise le parole di un indovinello. Risolto l’enigma le pietre sono affondate nel terreno lasciando spazio a tre ripidi tunnel che affondavano nell’oscurità.
Già altri hanno scritto della tragica fine di Mir, che spinto forse da troppo coraggio ma da poca saggezza per primo è entrato in uno dei tunnel esponendosi alla fatale trappola ivi contenuta.
Non è lo scopo di questo resoconto ricordare il nostro compagno caduto anche se resterà sempre il rammarico di non aver usato maggiore prudenza.
All’interno della prigione le mura erano costellate di scritte in un antico linguaggio, oserei dire in elfico arcaico, così vecchio da risultare quasi intraducibile. Le uniche parole che sono riuscita a comprendere riguardavano il concetto di giustizia. Il primo livello della prigione era costruito come un fiore attorno alle radici dell’albero e tutte le stanze erano illuminate dallo stesso cristallo verde. In questo livello abbiamo dovuto scontrarci con un altra bestia simile a quella già incontrata nelle caverne dei lucertoloidi presso la gola dei passeri: un cane intermittente, lobotomizzato in modo da rendere malvagia una creatura normalmente buona. L’accesso al secondo livello era custodito da alcuni goblin di cui ci siamo liberati facilmente. Qui abbiamo fatto un curioso incontro: una creaturina creata con la magia, un omuncolo straordinariamente in vita nonostante il suo padrone fosse ormai da anni deceduto. L’abbiamo chiamato Meraviglia, in quanto lui sosteneva di essere la meraviglia di Tesla, l’antico e potente mago elfo che plasmò magicamente il cristallo verde organizzando tutto il sistema di illuminazione delle prigioni. Da lui abbiamo scoperto inoltre che le prigioni avevano un nuovo “padrone”, un umano vestito di blu di cui avevamo già sentito parlare dai goblin.
Dopo essere sopravvissuti a scheletri, ragni giganti, e chierici malvagi, siamo riusciti ad interrogare una delle guardie della prigione, che delirando in preda a visioni, mi ha fatto rendere conto della presenza intorno a noi degli spiriti degli elfi che un tempo abitavano queste prigioni. Sospetto che loro potessero sentirmi, sicuramente percepivano le nostre intenzioni perché i loro bisbigli sembravano rassicurarmi, mentre parlavano di massacro e vendetta a i nostri nemici. Tra tentennamenti e sproloqui, con il coltello di Komier accostato alla gola, il nostro prigioniero ci ha rivelato il nome del suo capo: Crakka, un guerriero avido e traditore che noi sapevamo essere al servizio del reggente di Melennor. In realtà è emerso che Crakka stava facendo il doppio gioco: dopo aver rapito Lord Alessen, fratello e tesoriere del reggente della città libera di Nemore, per conto del regime, l’aveva relegato nella prigione elfica all’insaputa del Lord di Melennor, che al momento stava ricattando.
Lord Alessen ha una notevole importanza politica, perché da quando è stato rapito la città di Nemore, da sempre strenua oppositrice del regime di Melennor, ha dovuto cessare le ostilità in cambio dell’incolumità del fratello del re. Nella grande stanza delle celle abbiamo poi snidato Crakka che naturalmente non è sopravvissuto al nostro incontro, permettendoci così di riportare a Melennor sano e salvo Lord Alessen.
Di tutte le cose antiche e incredibili incontrate nella prigione sotto la foresta, soprattutto mi ha colpita la sensazione del contatto con gli spiriti e, nonostante i loro sussurri fossero benevoli verso di me, non so se essere commossa o intimorita dalla scritta che è oggi è comparsa su una delle pergamene, prima bianche, che abbiamo trovato in quel luogo: “Gli spiriti non dimenticano”...

mercoledì 12 marzo 2008

Padre

A volte la mente fa scherzi e rende meno sopportabile lo scorrere del tempo, ora che non ci sei più. Una volta mi scrivesti di intuire quello che può provare un padre nei confornti dei figli dato che in parte lo provavi per i "Sussurri". Sembra uno scherzo che per avere figli un nano come te dovesse viaggiare fuori dal clan finendo nello sfasciume di Melennor, quando in realtà un disegno ingiusto ti ha privato della bella Dora...

Ed eccomi qui, sdraiato su un pavimeno di pietra, coricato fra i sussurri. Fisso il soffitto di questa desolata prigione che fu un tempo lavorato dai delicati elfi di questa regione, le volte sfumate sembrano essere testimonianza dell'eredità sprituale di questo luogo, a dimostrazione di quanto gli avvenimenti di un tempo possano influenzare (almeno in parte) il suo futuro...era un luogo di dolore e sconforto ed ora grazie a noi almeno di dolore lo è ridiventato...questo mi fa chiedere se c'è qualche cosa di sbagliato in tutto questo...

Mi rigiro nel sacco mentre il sonno non m'incontra ancora per causa di questo flusso di pensieri...mi ritrovo a guardarli uno ad uno...a parte l'elfa, questi ragazzi sono appena adolescenti per i canoni dell'Antica Razza, e per il Padre, mettono una tale passione in quello che mi pare di poter avvertire una traccia che galleggia appena nell'aria che come un colore (o come diciamo noi Nani, di minerale) si lasciano dietro a risposta delle loro azioni...Vedo la Giada Lavanda, con le sfumature di verde e porpora che galleggia dietro Aleza e sento il flusso della sua magia spumeggiare come le acque di un torrente di superficie, vedo i toni caldi e selvaggi toni ambrati di Antar, vedo il porpora proprio di chi ha la voce della barda Lieve, i toni metallici come quelli dell'ematite vibrano dalla bocca alla ricerca di sapere di Teleute, su Elanor i toni verdi e rossi propri come ben sai, di chi maneggia la magia della morte, i toni caldi dell'Eliodoro su Li che pulsano violentemente dal suo Ki, i toni vitrei dell'ossidiana Arlecchino dietro a Komier che vibra leggero con mille sfumature fra il nero e il giallo dorato, simbolo di un anima che si sa adattare...vibrano come cristalli fratello mio, alcuni di loro germineranno un giorno, forse coltivando anche le proprie competenze e tramite esse...raggiungere loro stessi.


Fino a quando non li ho visti non capivo cosa intendessi nel senso paterno, ma ora inizio a capirlo e mi sento un po' padre guardando i loro giovani volti nascosti nel sacco...è vero fratello, eri padre ed ora...lo sono anch'io.

sabato 16 febbraio 2008

gradini...

Prala Limahar...

Maestro...non so se leggerai mai il nostro diario, ma spero sempre di onorarti con il mio comportamento.

Gradini in salita. Gradini in discesa. Una metafora più che ottima per lo scorrere del nostro tempo, e i percorsi delle nostre vite.
Vaghiamo per corridoi deserti e stanze abbandonate. Solo mostri o essere abominevoli ci sbbarrano il passo. Tutte creature che non comprendono il vero fine di questo luogo.
Sembra molto di più il tempo che stiamo passando quì. Sembra sia trascorso molto più tempo dacchè Mir ha fatto la fine che ha fatto... Ammetto signore, di non avere ancora intuito il motivo di una così prematura fine, e forse non mi è dato saperlo, ma se tu con i tuoi pari l'avete chiamato a voi, un motivo c'è, e come solito ubbidisco e proseguo.
Abbiamo quasi rischiato di perdere un altro compagno. Komier era stato baciato da un Vargouille, una di quelle creature mostruose di cui parlavo. Per fortuna siamo riusciti a portarlo in tempo alla luce del sole per fermare la trasformazione che l'avrebbe reso anch'egli un mostro.
Non so se è stato per caso o per una macchinazione superiore, ma al nostro riaffiorare in superficie, abbiamo incontrato il fratello del nostro compagno scomparso. Ammetto che appena l'ho visto l'ho scambiato per un fantasma, uno spirito venuto a reclamare vendetta, e sono felice di essermi sbagliato, anche se...non sono così felice di aver con noi il fratello di Mir.
La perdita di un compagno di viaggio è un peso che ci siamo spartiti tra di noi, una pietra che resterà sempre in bella vista, per indicare che noi, i "sussuri di guerra", non siamo poi così bravi. Ma avere al fianco un parente del deceduto, che il solo fissarlo ti fà tornare in mente i tuoi errori, è decisamente peggio.

Ripartiamo, decisi e veloci. Troviamo gli ultimi goblin che tentano di resistere alla nostra avanzata. Ma...sono come paglia. Prendono fuoco e si spengo in un istante.
Quello che troviamo dopo però e decisamente spiazzante.
Non-morti. Creature che si ostinano a non voler oltrepassare il velo che conduce alle sale splendenti, ma per fortuna sia Teleute che Midir sono vicini alle loro divinità. Almeno abbastanza per intimorire gli scheletri, al che, per me,Antar e Midir risulta un gioco ricongiungerli al sonno eterno.
Spero che le loro anime ci siano grate almeno per questo.
Solo poi ci accorgiamo che ora dobbiamo scegliere come continuare, ancora una volta.

L'ultimo pianto

Parla Midir del Clan Volund:

Un sentiero ritrovato.
Finalmente vedo il bordo della gola comparire assieme al verde della foresta. Vedo i due umani di ritorno dal villaggio: Lieve la barda e Antar il barbaro sono tornati a confondersi nel verde. Resterò in attesa come sempre. Vorrei semplicemente scendere dal costone e abbracciare mio fratello, restare al suo fianco ancora una volta…ma non posso: gli ordini non si discutono ben che meno quelli del clan…

L’ultima notte.
Nella notte mi sveglio di soprassalto, l’occhio della mente è destato. Il simbolo del Martello che porto al collo pulsa lievemente illuminando a tratti con luce azzurra i dintorni. Cerco di ragionare con calma ma mentre passano i minuti una verità sempre più schiacciante stringe le corde del mio cuore che per poco non perde il suono. I Sussurri. Deve essere accaduto qualche cosa…lo sento.
Il mio petto non sente ragioni, pulsa come poche altre volte… Costringo la mia mente a calmarsi…ora non posso fare nulla, e anche se avessi sentito bene una presenza impreparata è solo di svantaggio… manca poco all’alba. Presto il padre udirà le mie preghiere solo allora vedrò che fare…

Il Mattino.
Il sole illumina i pini mentre affondo lo stivale nel terreno della conifera. L’odore della resina è forte, mi pervade avvolgendo tutto. Dopo qualche ora trovo una grotta. Allento la guardia del martello e mi avvicino. Poi mi fermo mentre fisso lo sguardo negli occhi di un umano: è uno dei sussurri…non doveva vedermi, almeno…penso.

Dopo un’ora.
Non è andato proprio come pensavo. Cos’ì come accade spesso cambia il volto d’ogni cosa il profumo della resina non mi avvolge più. Sento solo le lacrime che scorrono sulle guance e sulla barba. Capisco di essere fonte di imbarazzo per qualche duno quindi cerco di ricompormi. Mio fratello Mir è morto servendo il clan e ora io prenderò il suo posto.
Poche parole, mi spiego. I “Sussurri” come li chiamava mio fratello sono guardinghi. Bene! Non sono ne incauti ne stupidi, mio fratello aveva ragione a rispettarli. Poche parole e mi spiego per fortuna mi accettano. Ora devo dimostrare la mia utilità, ricoprendo il buco lasciato da mio fratello.

…non so perché ma nel dire queste parole qualche cosa li ha fatti sorridere…sarà un usanza umana…

Nell’oscurità.
Gli occhi mi bruciano per la polvere di scheletro…per un attimo rimango solo con me stesso. Gli occhi chiusi. Dietro di me avverto il respiro a mantice di Antar che rallenta piano dopo la battaglia, sul fianco i passi leggeri di Lim… Cosa faccio qui? Padre dimmelo Tu. Dimmi che non sto solo cercando di dare uno sfogo razionale alla frustrazione di aver posato il ginocchio dinnanzi alla tomba di mio fratello Mir. Dimmi che in tutto qusto c’è un disegno più grande… Permettimi di ascoltare il mio cuore e di sentire che in realtà il pulsare alterato dipende solo dalla devozione che provo per Te e per il mio clan, non dall’aver perso mio fratello.

In fondo non piango per il fatto che mio fratello è morto operando per il clan, ma per il fatto che se è andato senza che sapesse quanto lo amassi. Siamo stati insieme per quasi cinquant’anni è come se una parte di me non vivesse più.
Basta. Non ha senso continuare a torturami. La verità è una parte del mio cuore ha accettato e capito quanto successo, e proprio rendermene conto, mi strazia.

...un piede dietro l’altro…

Cosa faccio qui? Forse comincio a capirlo. Mi guardo attorno nella sala di questa prigione elfica. Le ossa degli scheletri ora sono solo frantumi. In questa sala antica situata nelle viscere della roccia sotto alla foresta di conifere, posso sentire i nostri cuori che battono nella luce e nella semi oscurità. Per un attimo scorgo una donnola che mi osserva dallo zaino di Elanor, la maga. Lo fa in modo furtivo ma da quello sguardo capisco che non ama troppo i rumori della battaglia. Sorrido appena dietro i baffi... Mir credeva con in quello che stava facendo con queste persone ed io per tempo ho aspettato di poter agire al uso fianco. Ora sta a me…a noi…o come li chiamava Mir "I Sussurri".

Riapro gli occhi che minacciano di ridiventare lucidi. Padre guida l’anima di Mir fino al tuo cospetto e digli che non verserò più lacrime per lui fino a quando lo riabbraccerò nelle tue sale…alla fine di tutto…o all’inizio…questo per ora non mi è dato capire.

Uno sguardo attrono e quel nodo alla gola inizia a sciogliersi. Mi avvicino piano lasciando che l'aria vibrasse al vigore del mio fiato:
"Bene. Cosa facciamo ora?"

venerdì 4 gennaio 2008

Buio

Stolti, stolti fummo a lasciare andare il nostro compagno in quell'antro tetro... di prigioni parlavano le leggende....
Qualcosa annebbiava le nostre menti, qualcosa ci impedì di vedere il pericolo che chiaramente si stagliava davanti ai nostri occhi ciechi. Non sfiorò la mia mente il pensiero di utilizzare le mie corde per offrire a Mir una protezione seppur ridotta... nulla suggerì a Komier di cercare insidie nel buio di quel tunnel... non si scosse l'acuta mente di Teleute... non si risvegliò l'infallibile intuito di Lieve, nè si ribellò il sesto senso di Aleza...
Abbiamo pagato caro il nostro errore e la leggerezza delle nostre menti, un compagno è caduto, ci ha lasciati precipitando per decine di metri di vuoto, con un feroce clangore di metallo che grattava contro la nuda roccia di quel budello, schiantandosi inesorabilmente sul fondo di quel pozzo che pareva senza fondo...
I nostri occhi indugiano sulle pietre che abbiamo posto sul luogo in cui Mir trova ora riposo; "i nani tornano alla terra" rispose Teleute con voce rotta quando Lieve chiese come avrebbe voluto essere sepolto il nostro compagno.
Che il Grande Padre a se conduca senza esitare il tuo Spirito, Mir del Clan Volund.