venerdì 30 novembre 2007

Qualcosa su Lieve: quattro penne

Parla Lieve:

Ci sono quattro penne nel mio astuccio di cuoio e poche cose a questo mondo contano per me come quell’astuccio. A volte a guardarlo provo un po’ di pietà per me stessa: ho diciassette anni e da sei riesco a scrivere senza macchiarmi le dita, ma la neve non è ancora caduta due volte da quando ho trovato il coraggio di comporre qualche cosa di mio pugno. Conosco le storie, le grandi storie, quelle scritte con lettere vive e versi fluidi come un fiume senza gorghi, come volute di nebbia attraverso le quali le corde di un liuto da due soldi vibrano con una pienezza che non è la loro e la mia voce sembra dolce di miele e forte come la tempesta, che riempiono la testa e fanno spalancare gli occhi. Sono poche le storie così e mi entusiasmano tanto quanto mi fanno sentire annichilita dal confronto. Mi piace pensare che prima o poi saprò tessere anch’io le parole a quel modo ed è per questo che ci sono quattro penne nell’astuccio di una ragazzina che ha scritto poco e niente: tante ne servono a chi aspira ad essere grande nell’arte, poichè la punta della penna che ondeggia mentre scrivi può distrarre l’attenzione e l’emozione, ma se l’aspetto di questa corrisponde al sentimento che si vuole trasporre nel canto, allora diventa un'immagine che lo tiene presente alla mente, mentre disegna sulla carta il tuo sentire. Questo credeva il mio maestro e poichè lui non è più qui per insegnarmi ancora, le parole che mi ha detto sono l’unico sentiero per la mia speranza di raggiungere, un giorno, la sua altezza. La sua voce calda e ruvida, come muschio sulla corteccia di un pino recita ancora, nella mia memoria:

“Una penna d’oca, pulita e liscia, per la commedia e per le cose semplici e belle.

Una penna nera strappata dall’ala di un corvo, per la tragedia e per le luci oscure, per la notte che cavalca e per il fango, per la paura che non ci sia speranza.

Una penna di cigno per l’epica e la gloria degli eroi, per i cieli limpidi al di là del temporale, per la promessa dell’aurora.

Una penna di pavone, iridescente e lunga, con la punta cosparsa d’argento ed un ampio, perfetto occhio multicolore. Con essa scriverai soltanto una canzone, quella che ti varrà un posto nella storia. ”

Con la penna d’oca, come tutti, solitamente scrivo. La faccio scorrere adesso sul foglio con le mani finalmente calde per il focolare vicino, nella mia stanza alla taverna di Arman. L’ho comprata io, fino ad oggi è la sola con cui qualche volta ho composto.
Quella nera l’ho impugnata per l’ultima volta là, nella gola dei Passeri, durante il mio turno di guardia, in quelle due ore di riposo che siamo stati costretti a concederci mentre inseguivamo il mago e ricordo ancora la sua ombra contro il fuoco, ma per me non ha mai scritto versi.
Guardo la candida penna di cigno con una vaga speranza che irrido io stessa: non mi sono impegnata con la Resistenza per trovare una canzone e meno male che non l’ho fatto! Anche se qualche parte di me s’illude di incappare nell’ispirazione tra una notte all’addiaccio e una sudicia bestia che ti salta alla gola da un angolo scuro, scopro che rievocando quello che abbiamo passato riesco solo a pensare quanto siamo stati sciocchi, a quante volte la nostra ingenuità o le abilità non proprio affinate ci hanno fatto rischiare la pelle. Adesso che è finita bene, che abbiamo preso il fuggiasco e portato a casa i nostri corpi sostanzialmente interi, mi sento molto fiera del nostro operato, ma non riesco proprio a vederci dell’epos. Oh sì, siamo stati eroici, ma dell’eroismo di chi è tanto piccolo che una cosa piccola è troppo più grande di lui! Dovrei raccontare qualcuna delle nostre idiozie, per ricordarmele nel caso prima o poi mi venga voglia di metterle in rima. Non ora però, magari domani...grazie a Fharalanghn, adesso non c’è fretta.
In quanto alla mia penna di pavone, riposa nell’astuccio sul velluto rosso. Come quella del corvo e del cigno e come l’astuccio stesso non apparteneva a me, ma mi è stata lasciata dal Bardo della Luna, che suonava per il Re in persona alla corte di Melennor prima che questa diventasse la città del fango e che per mia immensa fortuna mi fece da padre e fu mio maestro. Un’unica volta, da lui, è stata intinta nell’inchiostro.
Spero solo di avere abbastanza talento e di vivere abbastanza a lungo per usarla.

giovedì 22 novembre 2007

Parla Elanor...

Il fuoco della torcia crepita, mescolandosi al sommesso russare del nano addormentato poco distante. Il freddo umido della grotta mi penetra nelle ossa indolenzite… da quanto tempo non dormo in un letto? Non ricordo…forse è passato troppo tempo, o forse troppe sono le vicende accadute… i fatti si accavallano l’uno sull’altro…i ricordi si mescolano, la paura, la confusione l’ansia per ciò che sarà sbiadisce i ricordi e annebbia la mente. No Elanor, la tua forza risiede nella tua mente, non lasciare che i sentimenti ti attanaglino, non permettere al Caos di piegare i tuoi pensieri. Concentrati…non lasciare che la mente vacilli, medita…

Chissà cosa sta succedendo là fuori, da ormai quasi una luna sono fuggita da Melennor e dal mostro, il regime..quel regime che mi ha portato via tutto, come ha fatto con tutti coloro che come me sono fuggiti…o sono morti. Melennor, la Città Sorella…che come me porta nel proprio nome il segno del Sole. Ma quale sole risplende ormai su di noi e sulla nostra città? Nessuna luce rischiara più il cielo, quel cielo oscuro e gonfio di pioggia che mi osservava minaccioso mentre fuggivo… si stende ancora nei miei ricordi, davanti agli occhi della mente. Mentre il fango rendeva sempre più faticoso ogni passo invischiando le mie caviglie, mentre la pioggia mi chiudeva gli occhi e mi incollava le vesti addosso, sentivo il peso della sacca di cuoio che avevo con me e che rappresentava l’ultimo piccolo frammento della mia vita, l’ultima traccia di ciò che fu…i miei libri, la fonte del mio sapere…. I pochi che sono riuscita a salvare dalle fauci bavose del mostro…


due giorni dopo...


Apro gli occhi..per un attimo cerco con gli occhi i giunchi che facevano da tetto a me e a Seirei, in quella sperduta valletta chiusa al di fuori della grotta…la piccola donnola è come al solito appallottolata sotto l’incavo del mio braccio respirando silenziosamente addormentata. In un istante tutto mi torna alla mente e nitidamente ricordo: non sono più in quella angusta valletta deserta, non sono più in quell’umida grotta popolata da creature fetide…non sono più sola. Ho incontrato quella gente che mi aveva fatto così paura, all’inizio… che mi era sembrata tanto strana, poi…e che è invece così simile a me, ora. Ho incontrato qualcuno che non si è arreso, che come me vuole fare qualcosa, ora forse, non più sola, anche io potrò fare la mia parte.

Giro lentamente la testa: dall’altra parte della stanza nel letto rannicchiata sotto le coperte dorme Teleute: quella ragazza…anzi no, quell’elfa, mi era apparsa tanto indagatrice e misteriosa all’inizio, ma forse era solo colpa mia e dei miei stupidi pregiudizi. Non era indagatrice, era interessata, non era misteriosa, solo schiva… forse è l’aura degli elfi che me l’ha fatta apparire così… E’ molto simile a me…e possiede tutti quei libri…forse, ora, potrò continuare i miei studi…forse tra tutti quei volumi, sono nascosti libri di magia, come quelli che ho dovuto abbandonare nella casa di mio padre…

Lentamente mi alzo rabbrividendo al tocco gelido del mattino; allungo una mano verso i miei libri: appoggio il palmo sulla copertina di pelle screpolata e ammuffita del mio libro degli incantesimi, unico superstite…dove saranno tutti gli altri…forse bruciati..o forse a fare da lettiera alle bestie schifose compagne di quegli esseri immondi, indegni del nome di uomini, che ci hanno gettato nel caos…

Apro lentamente le chiusure del pesante tomo che porto sulla ginocchia; sento nelle narici l’odore acre, ma così familiare, della carta consumata che sento scivolare sotto le mie dita. Inspirando profondamente richiamo tutte le mie forze e socchiudendo gli occhi mi immergo nella meditazione, mormorando a labbra serrate il saluto a Boccob…

lunedì 12 novembre 2007

Alla gola dei Passeri

Parla Mir:

Di Guardia in attesa.
Siamo degli estranei in questa gola, perfino le rocce avvertono la nostra presenza e come miti guardiani attendono: poche parole, un nostro gesto, le balestre gementi vengono caricate.
In attesa: Komier da un lato della gola e io dall’altro.
Passano ore in cui odiamo soltanto il sommesso suono sporadico delle nostre voci.
La notte risuona melodica nel bosco alle nostre spalle mentre ogni particella del nostro essere è protesa verso la bocca della gola nell’attesa degli altri “Sussurri”.
Dove sono finiti i “Sussurri”? Sono passate ore e non colgo nessun segno del loro possibile ritorno, e questo significa solo due cose: i ragazzi hanno acchiappato il mago fuggitivo e stanno tornando oppure quel codardo incantatore ha trovato qualche modo per scappare via. Volando?
Lasciamo che il tempo quieti questi tarli, il tempo lo fa sempre…

Tamburi.
Altre ore e qui non si vede ancora nessuno. Un rombo, no passi e.. tamburi! Dietro di noi!
Fra gli alberi ad alcune centinaia di metri sentiamo muoversi un gruppo di persone…sembrano un esercito.
Uno sguardo e Komier ed io ci lanciamo nella gola nebbiosa consci che dove ci trovavamo non c’era nulla per occultarci, almeno non da così tante persone.
Komier incespica dietro di me, per Moradin! Gli umani non vedono al buio me ne dimentico sempre. La luce della torcia ci renderebbe bersagli, se già non lo siamo, quindi lo prendo per il braccio e lo guido senza luce. Sì mi segue. Ce la possiamo fare.

Diavoli, mi viene da pensare che i nostri inseguitori abbiano alle spalle i padroni con le fruste! Non so da quanto camminiamo, ma quelli non demordono.
Passi regolari e leggeri, sferragliare sommesso. Diamine! Questo è davvero un esercito.

Il sonno.
Sono passate alcune ore, almeno penso. Nelle ossa sento che fra qualche ora albeggerà e stremati ci riposiamo. Il tepore del sonno mi avvolge come un veleno stordente…che ne è dei ragazzi? A parte Teleute, l’Elfa che vede come me l’età a modo suo, gli altri sono tutti giovani, forse troppo… Per gli umani la vita scorre in modo diverso, ma che ne è della promessa che mi ero fatto di stare loro accanto con la mia esperienza tratta da un vita già lunga? Che ne è dei propositi che mi ero fissato di affiancarli e guidarli se necessario con quello che la vita mi ha già donato? Mi sento in debito… Non ha senso che ora il pensiero mi tenga desto, ho poche ore di riposo e domani devo essere lucido e pronto, e se Moradin lo concede potrò essere d’aiuto anche ai miei compagni. Chissà…

Il sole.
Il risveglio ha l’effetto di un dopo sbronza. Komier è piuttosto pallido, ma non mi preoccupo: il ragazzo è uno di quelli che ha mille risorse. Supplico Il Padre di infondere in me la sua benedizione e forse mi ascolta: la valle avvolta nelle nebbie si rischiara permettendoci di vedere oltre le nubi basse. Per il Padre! Dove è finito quell’esercito? Nessuna traccia, eppure un armata di almeno cinquecento uomini dovrà pur lasciare qualche segno?! Forse sto davvero diventando vecchio…
Poi Komier mi chiama: vedo una baracca sull’altro fianco della valle. Magari chi vive lì ha visto i ragazzi.

Il movimento armonico del cavallo mi riporta alla realtà, abbiamo svaligiato una casa vuota: coperte, vino, cibo e due cavalli, fra me e me voglio pensare in prestito…

La grotta.
La prima grotta più giù nella valle era cieca, ma questa seconda ha un ventre profondo e per nulla caldo. Komier è sempre più pallido, gli offro un goccio, ma rifiuta. Capisco che se chiedessi altro offenderei il suo orgoglio, quindi taccio e penetro nella grotta. La balestra spianata nella mano, appoggiata sul bordo dello scudo, e gli occhi che scavano nell’ombra rischiarata della torcia tenuta da Komier.
Nel cunicolo si trovano i resti di un pasto di qualche animale, non sembrano le ossa dei miei compagni…
Rumori. Bene! Qualunque cosa sia li accoglieremo. La torcia si spegne mentre una luce si incammina verso di noi. Passi leggeri e pesanti. Sono almeno in due, due che presto assaggeranno il mio acciaio.
Per fortuna riconosco i ragazzi della taverna proprio mentre sto per uscire da dietro una roccia caricando. Sono loro li abbiamo trovati.

Insieme.
Mi sento un po’ padre mentre leggo il sollievo seguito dalla preoccupazione ci cosa ci ha condotti qui sui volti degli altri “Sussurri”. Poche parole e tutto è chiarito: ora sanno perché siamo qui e noi scopriamo che il mago bastardo è scappato nelle viscere nere della caverna. Li guardo in faccia in qualche modo disteso di saperli incolumi: la caccia ricomincia.
La caverna è nera davanti a noi, ma non provo agitazione. Mantengo la calma, è il momento di non lasciarsi andare alla fatica.
Lasciamo che il tempo faccia il suo gioco, il tempo lo fa sempre…

mercoledì 7 novembre 2007

Fantasma

Parla Teleute:

"...Finalmente riposiamo. Sono passate più di 24 ore da quando il viso di Skid è stato rivelato al nemico, mettendo a repentaglio quello per cui stiamo combattendo. 24 ore di marcia ininterrotta a rincorrere il fantasma dell'unico superstite della battaglia, colui che ad ogni costo dovrà morire.
Lo abbiamo quasi preso una volta, ma come la nebbia ci è scivolato tra le dita. Non gli ho sentito pronunciare che incantesimi semplici, incantesimi che ogni mago conosce, ma purtroppo terribilmente efficaci. Ci è sfuggito evocando una cavalcatura che lo ha spinto lontano da noi. Bastardo. Ora siamo in questa caverna, aberrazioni ci attaccano dall'ombra e la stanchezza ormai esige che le venga pagato il tributo che le spetta.
I miei compagni sono stremati. Mir e Li sono stati feriti in profondità e per fortuna ho scoperto che anche il nano ha la magia per curare le ferite, da sola non ce l' avrei fatta.
Ora è meglio riposare, presto l'inseguimento giungerà al termine..."