sabato 10 maggio 2008

Ruderi, Speranze e Aspettative

Parla Limahar

La notte è appena finita e noi, formiche sulla schiena di una città così grande da costituire uno spettacolo imponente agli occhi di chiunque, guardiamo con rinnovato stupore la furia dei draghi. Chi come me, Teleute o chi altro abbia passato molto tempo sui libri, per scelta o per costrizione, non può fare a meno di pensare a come fosse realmente questa città. Gente che affollava la piazza del castello, gente che pregava con fervore dentro i templi, e la paura e la disperazione che quella stessa gente ha provato nell'ira contenuta nei potenti polmoni infuocati dei draghi.
La città se pur mutilata è rimasta. Le cicatrici pure...
Chiunque porti segni sopra di sè che indichino eventi e momenti della propria vita di certo può capire a pieno il senso che trasmette una città devastata. O meglio, una città dilaniata. Gli uomini di qui hanno fatto bene a non ricostruire nulla, a non cancellare con mura e mattoni quello che realmente è successo.
Questo posto è una lapide! Ma non di quelle che si mettono nei campi dei morti. No, questa lapide è un promemoria, e un monito, e al tempo stesso una speranza.
La speranza di poter migliorare, di non commettere gli stessi errori.
La mia speranza.
Perché so bene che molti uomini, elfi, nani, gnomi o di qualunque altra razza sia lo sguardo che si posa si queste pietre, ciò non lo possono capire.

La città nel suo sfacelo è bella, e in molti punti lo stesso fuoco che l'ha distrutta la resa un oper ad'arte bellissima.
Di notte questo si notava poco mentre percorrevamo le vie più esterne.
Solo pochi imprevisti ci hanno colto lungo il cammino, ma nessuno così tosto da impedirci di procedere.
Prima Aleza che rischia di rompersi una gamba mentre cercavamo di scavalcare un palazzo crollato sulla strada. Poi un branco di cani rognosi, ridotti a poco più di miseri scacalli, ci attaccato considerandoci pasto facile.
Quando Komier poi trova un segno ad un ingresso sui cancelli esterni del castello non posso negare di aver provato dell'aspettativa, ma pure quello s'è rivelato niente più che un ritardo.
Quando arriviamo alla nostra prima meta, ormai gran parte della notte è passata. I Templi sono imponenti. L'aspettativa ancora una volta mi attraversa tutto il corpo come una scarica d'energia rinvigorente.
Vederli così mi fa sentire piccolo e insignificante. Quelle stesse pietre che ora ci nascondono e ci circondano hanno mantenuto gran parte della loro maestosità, e i segni del fuoco sono evidenti. Il Fuoco ha segnato questo posto, ma ai miei occhi non sembra che sia come il resto della città.
Poi entriamo nel Tempio di Pelor. La nostra lanterna non illumina molto della vasta navata, ma quanto basta per notare che gli scacalli, quelli veri, con due gambe e due braccia, talmente egoisti da pensare solo al loro tornaconto, sono stati quì.
Rimando la mente alle dolci parole del mio mestro per ricordarmi che l'avidità delle creature terrene è colpa finchè non c'e di mezzo la sopravvivenza, e spero in cuor mio di non incontrare mai gli autori di questo sacrilegio, conscio di non essere ancora degno di paragonarmi al mio mentore.

Il nostro cammino ci porta su per scale di pietra e vicino alle celle dei sacerdoti. Niente è sfuggito alla distruzione e all'eventuale saccheggio che dev'essere seguito.
Quando troviamo la porta della biblioteca sono agitato, sento le mani che mi tremano, e il pensiero che potremmo essere vicino a qualcosa di importante mi fà quasi dimenticare il mio autocontrollo. Si sà che storicamente i chierici di Pelor hanno spesso avuto il compito di custudire il sapere...le informazioni che posseggo sono poche, e ogni granello di polvere che fa pendere la bilancia verso il successo è sempre utile.
Quando la porta si apre e vedo le librerie vuote, tutto lo slancio che mi aveva gonfiato il cuore di speranza mi ricade addoso come un maglio.
Nulla è sopravvisuto all'incendio.
Poco più avanti lungo il corridoio un unica porta ci sbarra il passo, ma per nostra sfortuna è bloccata e protetta magicamente. Komier prova ancora una volta ad aprirla, ma le sue capacità non sono all'altezza del compito e solo per l'abilità di Elanor nel maneggaire le corde riusciamo a sottrarlo all'incantesimo che l'aveva colpito.
La stanchezza ormai ci sommerge con il suo scuro manto e noi, accampandoci in una delle stanze vuote, c'addormentiamo, rimandando a domani le nostre ricerche.

domenica 4 maggio 2008

Eco

Il cielo si rompe e lascia intravvedere le stelle. Se questo può fare la gioia di chi cammina nella notte, lascia indifferente il mio sguardo, che non solo le nubi, ma le stelle stesse avrebbe attraversato senza che la fatica mi provocasse un singolo battito di ciglia.

Mura secolari sono state valicate da uomini come formiche, ma il dedalo in cui si stanno avventurando non ha nulla di domestico. Melennor.... Dov'è Melennor, ma soprattutto qual è? Ci sono altri casi di città omonime, ma questo è emblematico: si tratta di una rinascita o di una sostituzione. Che strano concetto l'identità. Nuova Melennor, vecchia Melennor. Solo un manipolo di discendenti e un'ormai sparuto numero di stemmi nobiliari assicurano un minimo di continuità tra due storie che, da quando Lord Kipper ha cacciato, quando non ucciso, i Lestatt e i loro fedeli, paiono avere ben poco in comune.

La vedo come se fosse ancora qui, la vedo mentre nasce, questa città immensa, fiera roccaforte tra i monti. Costruita per ripetere una gloria considerata intramontabile, per essere luogo di tutela e di scambio, per onorare gli dei e gli eroi, per garanzia di fratellanza di fronte alle razze. Cosa resta delle guglie dei palazzi, dell'Anfiteatro del Giglio, della Scuola degli Arcani Maggiori? Si diceva che Boccob stesso avesse presenziato alla sua fondazione, confidando a Dridisin della Pioggia Battente che torme intere di maghi avrebbero varcato le sue soglie esagonali per apprenderne il sapere. E' successo davvero ed io potrei confermarlo. Ma a chi potrebbe importare ora? Nessun dio camminerà più tra i giardini di Tardautunno, e la splendida Ambasciata Elfica oggi sarebbe la degna dimora di uno dei signori dell'Abisso.

Una storia di battaglie vinte, di sudore comune, di grandezza non senza prezzo, è prigioniera delle fuliggini eterne che i marmi conservano fuse nel loro attuale aspetto grottesco.

Chissà se quegli otto individui che ora ne osservano il cupo spettacolo sono coscienti dell'eco vagante tra le strade deserte? Chissà se si rendono conto che se dovessi cercare un residuo dell'antico splendore di Melennor, forse è nei loro cuori che finirei per trovarlo?

Continuo ad osservare.

Vecchia Melennor

Parla Lieve:

Di questi tempi non c’è quasi nessuno in giro per Melennor durante la giornata. La Città Nuova è piena da scoppiare dal tramonto all’alba, ma di giorno sono tutti ai piedi delle colline, attorno o poco all’interno di Vecchia Melennor, per assistere alle celebrazioni in onore dei morti. Ieri ci sono stata anche io, con Li, Komier ed Antar, in mezzo ai pellegrini a penzolare dalla coda dei chierici di Pelor e di Wee Jas. Oggi, invece, ho fatto solo un giro in mattinata per poi tornarmene qui, a guardare lo spettacolo dall’alto delle mura. Nel silenzio del mezzogiorno di una città vuota, sentivo i cori e le litanie portate su dall’aria fredda dell’autunno, ma la folla accalcata sotto la Porta Sud quasi non si vedeva: la Città Vecchia è grande, grandissima, quasi come l’antica capitale del regno di Lestattia ad immagine e somiglianza della quale fu costruita e quando il sole è alto e la giornata è tersa splende, come se ancora le cupole dei templi fossero coperte d’oro e di ceramiche smaltate, come se torri e guglie continuassero a tendersi verso il cielo, ricamate nella pietra come merletti ed istoriate di pietre dure, bella come solo la Città Sorella della capitale poteva essere. Purtroppo però, basta che s’allunghino appena le ombre o sulla valle galleggi un velo di foschia che la fonte di tanto splendore si rivela in tutta la sua tristezza: sull’antica, dorata Melennor hanno combattuto i draghi, due draghi antichi, per la precisione. A quel che resta delle altissime, possenti mura non rimane altro da proteggere che un groviglio di rovine lacerate e nere per il fumo degli incendi, di pietre che il calore folle del fuoco dei draghi ha fuso e trasformato in una poltiglia simile a vetro, che a mezzogiorno riflette la luce come gemme ed al tramonto s’infiamma come l’eco dei fuochi che quattro secoli or sono devastarono la città.
E’ stato il più grande sterminio di massa della storia recente, dovuto a qualcosa di diverso da una guerra. Forse gli elfi ed i dotti ricordano qualcosa di più antico, ma per molti uomini è stato il massacro peggiore e basta, nonché l’origine dell’odio indiscriminato per i draghi che ancora oggi unisce buona parte delle genti dell’antico regno.
Entrare a Vecchia Melennor è consentito solo durante i riti, ma se pure fosse diversamente noi della città sulle colline non vorremmo mai metterci piede, non senza un centinaio di chierici almeno ad aprire la strada: circolano brutte storie, storie di nebbie che ti portano via tutta la voglia di vivere nella luce di questo mondo, della rabbia dei morti verso tutto e tutti, verso i draghi, gli dei e noi che respiriamo ancora. Certo, sono le classiche brutte storie ed io che so qualcosa di come nascono non ci dovrei dare troppo peso, ma due giorni fa, mentre noi ci lasciavamo alle spalle la strada che scende dal Passo del Verme, durante le celebrazioni un non morto è effettivamente comparso nella Città Vecchia. Dai racconti deduco che era una cosa cianotica e triste, che Teleute ha facilmente identificato con un ghast: i chierici di Pelor lo hanno fatto letteralmente scoppiare. C’è stata gente che l’ha considerata una parte dello spettacolo, una manifestazione della gloria di Pelor, per quanto non riesca a vedere che gloria ci sia in un plotone di preti che fanno fuori una sola, misera creatura, ma il giorno dopo i cadaveri ambulanti erano due ed oggi sono stati quattro e qualunque persona di buon senso, anche se non conta troppo bene, vedrebbe che questa è una progressione preoccupante. Il contatto della Resistenza nei ranghi della chiesa di Pelor, tale confratello Lein che mi sembra davvero di aver già visto da qualche parte, dice che il suo capo sospetta sia stato trafugato qualcosa dai sotterranei della città, forse un’antica e preziosa spada vampirica chiamata Sakki, la cui lama ritrova filo e potere a dispetto dei secoli bevendo sangue versato per vendetta. Il furto di questo gradevole oggetto potrebbe aver infastidito
qualcosa ed avere innescato questa improvvisa e crescente proliferazione di non morti, perciò, temendo che il nostro amato despota lord Kipper possa non essere estraneo ai fatti, Skid ha deciso di mandare qualcuno a fare delle ricerche. Chi sa chi...
Cerco di pensare al filo della spada di Antar, ai pugni di Lì, a Elanor, con i suoi dardi di luce che non mancano il bersaglio ed al rumore familiare dello scatto della mia balestra, penso a Komier, così a suo agio nelle ombre ed al fatto che abbiamo due chierici con noi, ma poi mi viene in mente che ne avrei voluti cento e non sono contenta. Non sono per niente contenta.
Entreremo sta notte, per non farci vedere ad arrampicarci sulle mura ed io sarò la prima a tentare la scalata, per aiutare gli altri a salire con le imbragature di corda preparate da Elanor. Già sento il vento gemere attraverso le finestre cieche e so che ogni ombra mi sembrerà viva ed ogni stella riflessa dalla pietra vetrosa sarà come l’occhio invidioso di un morto.
Non mi va, proprio non mi va di entrare a Vecchia Melennor.

(...)

Divelta, spezzata dai draghi infuriati
graffiata dal corno di artigli affilati
muore o riposa, sotto le colline
la Città Sorella, ridotta in rovine.

Chi osa violare quel luogo stregato?
Qualcuno che sia folle, o disperato!
Chi sfida il capriccio della dea Fortuna
nella perduta Melennor, sotto la luna?